Ieri mentre passeggiavo per le soleggiate ed eleganti vie del centro storico di Parma mi sono imbattuta in due monaci buddisti che chiedevano l’elemosina. E’ stata un’esperienza veramente toccante, di quelle che non si scordano.
Prima di vederli e di rendermi conto di cosa stessero facendo sono stata come “risvegliata” dal suono delle loro campane. Un tintinnio continuo e squillante precedeva i loro passi, come a ricordare a tutti di vegliare, di essere qui, nel presente. Mi sono fermata attenta ad osservare i loro gesti. Con fare sicuro e fiero i due si avvicinavano ad un negozio, ad un bar, a un ufficio, si fermavano lì davanti qualche secondo, forse un minuto, porgendo nobilmente la loro ciotola di bronzo, senza mai smettere di recitare i loro sacri mantra; se ne stavano lì fermi, avvolti in una presenza quasi palpabile, per poi proseguire svelti e senza indugi verso altre botteghe o esercizi commerciali. Ciò che mi ha colpito è stata la loro dignità e il senso di pienezza e di spazio che mi hanno trasmesso.
Comunemente si è soliti pensare all’elemosina come ad un’azione che abbassa, che sminuisce, un’azione spesso umiliante per chi la fa, pregna di tristezza, carenza, inferiorità, ingiustizia, miseria umana, oltre che materiale, che altrettanto spesso provoca in chi passa un senso di rifiuto, di disagio o addirittura di colpa.
I due monaci di ieri invece nel loro chiedere semplicemente attendevano senza attendere, stavano lì, in un chiedere senza chiedere, senza insistenza, senza pretesa, senza forzatura.
Il loro chiedere in realtà era un fare spazio, un aprirsi totale, un essere svegli e pronti, un donarsi senza limiti, commovente, profondamente ingenuo…
In loro presenza ho percepito un grande spazio, un vuoto che sapeva di accoglienza, non di carenza…Tanto che, appena si sono mossi per proseguire il loro giro io, come rapita, li ho dovuti letteralmente rincorrere per poter mettere una moneta nella loro ciotola! Volevo entrare in quello spazio, anche se solo attraverso una moneta!
Ieri ho imparato come chiedere possa essere un’azione che dà e riempie sia me che gli altri, se fatta partendo dal centro di presenza e di abbondanza del mio cuore.
Franca Soavi
MAG
2017