La frase tutto è perfetto ha creato una quantità di danni inenarrabili nel settore cosiddetto spirituale ed è divenuta vessillo di individui depressi e irresponsabili.
Dire che il mondo è perfetto e non agire è da imbecilli e porta come conseguenza il fatto che non serve fare nulla poiché le cose vanno già bene così; ma in un universo, se non c’è un continuo apporto di energia tale da produrre un lavoro in grado di far cambiare le cose, non ci può essere riconoscimento progressivo del sé.
La frase tutto è perfetto è propria di un individuo che ha maturato dentro sé il vedere le cose senza alcun giudizio emozionale. La compassione non è coinvolgimento emozionale, ma è sempre una spinta ad agire per trasformare le cose disarmoniche in armoniche.
Ciò che è veramente perfetto è il meccanismo con cui accadono le cose e quindi di come ci ritroviamo il futuro; l’abilità dell’individuo sta nel fatto di riuscire a spezzare le catene di quegli eventi che gli massacrano la vita.
Ammettiamo che, per liberarti da una situazione, fuggissi via da una persona idiota: la perfezione della vita ti farà ottenere la stessa identica e precisa quantità di idiozia-specchio sotto altre forme e da altri terminali, siano essi persone, eventi, luoghi, tempi o cose. Ciò significa che, entrando dal panettiere, giudicheresti il suo comportamento idiota rispetto a un qualcosa che, in quel momento, le forze equilibratrici della vita ti ripresenterebbero innanzi agli occhi in risposta alla quantità di idiozia che tu giudichi.
Questa discussione ci porta all’aberrazione più potente, quella del giudizio, rappresentata dall’Apostolo Giuda nella storiella simbolica chiamata Vangelo.
Esiste una innumerevole serie di filosofie che pongono attenzione sulla questione del 12: i 12 apostoli, le 12 fatiche d’Ercole, le 12 costellazioni, le 12 tribù d’Israele e così via; perché questo 12 è così ricorrente? Per comprendere questa cosa possiamo far riferimento ad una scena del mito cristico, quella in cui il personaggio di Gesù, tra la moltitudine della folla sceglie 12 personaggi ai quali, ad un certo punto del percorso, dice “dove IO vado, voi non potete venire”.
Chi sono i 12? Essi rappresentano le 12 aberrazioni fondamentali, quelle che rendono un essere spirituale un umano prigioniero della materia. La scelta dei 12 significa che, se si lavora su quelle 12 aberrazioni fondamentali, tutta la folla delle miriadi di aberrazioni conseguenti viene meno. E proprio in questo modo lavora una Scuola di Illuminazione che tende all’ascensione.
Un individuo che esprime il suo Sé materiale senza lavorare sulle 12 aberrazioni fondamentali, morirà con il corpo fisico, ma avendo terminato la sua missione materiale, non avrà necessità di rinascere su questo piano ed è quindi libero dal ciclo delle nascite e delle morti. Diversamente, se mentre si è in vita e si realizza il sé materiale si riescono a sradicare anche le aberrazioni fondamentali, ecco che l’individuo non ha più necessità di morire e può ascendere nella dimensione superiore, trasformando il suo corpo fisico in quello di luce. Questa impresa è davvero così titanica che è appunto chiamata le 12 fatiche d’Ercole.
Ma torniamo ai nostri simbolici 12 apostoli: il personaggio di Giuda rappresenta il Giudizio, Tommaso l’inevitabilità della morte, Pietro la dualità (colui che porta rancore verso l’altro sesso) e così via. Qual è il più importante degli apostoli e quindi l’aberrazione fondamentale su cui lavorare? È il giudizio, quella relativa al nome Giuda.
Infatti tutte le filosofie dicono di non giudicare e da qui, come abbiamo detto all’inizio, nascono i problemi di apatia.
La mancanza di giudizio di “Tutto è perfetto” si riferisce all’abilità dell’individuo di essere sereni pur non essendo felici innanzi ad una contrarietà (Gesù pianse alla morte dell’amico Lazzaro) e proprio la mancanza di felicità diviene la spinta ad aggiustare le cose. La mancanza di giudizio è l’abilità a rimanere in uno stato come se le cose fossero perfette e non perché lo siano: questo è star di fronte alle cose e vederle nella loro vera natura, senza essere risucchiati nei vortici emozionali della faccenda.
Ciò non significa non agire, come erroneamente crede la maggior parte delle persone depresse che riempiono il settore spirituale. Molti mi dicono che la realtà è un sogno che possiamo cambiare quando vogliamo, ma nessuno si rende conto, che se non mettiamo lì un punto di operatività, le cose non cambiano, poiché è solo l’emozione di una esperienza diversa che fa cambiare il nostro punto di vista sulle cose.
Questa stupida e vana speranza che le cose cambino da sole sottende l’attività maligna del salvatore secondo cui le cose, se siamo buoni e onesti, arriveranno da sole: questo non è possibile perché l’universo non funziona sulle speranze, ma sul lavoro e richiede energia per i cambiamenti. Si potrebbe dire che l’assioma dell’universo fisico sia che chi di speranza vive, disperato muore; ciò significa che gli inattivi e gli speranzosi credono che questo sia un sogno e non si rendono conto che è un incubo.
– Arcangelo Miranda
Art: Hopper, Tramonto sulla ferrovia
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2019